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Commissione Europea, scandalo Green Deal: cosa sta succedendo

L’ex-commissario UE Frans Timmermans è finito nella bufera dopo l’inchiesta del giornale olandese De Telegraaf.
Un’inchiesta pubblicata dal quotidiano olandese De Telegraaf ha sollevato un vero e proprio terremoto politico, rivelando l’utilizzo di fondi pubblici per finanziare attività di lobbying a favore delle politiche ambientali promosse dall’ex commissario europeo Frans Timmermans, artefice del controverso Green Deal. L’indagine ha portato alla luce contratti riservati, tra cui uno da 700 mila euro, destinati a gruppi ambientalisti per promuovere norme sulle emissioni auto e spingere l’agenda verde dell’Unione Europea.
Non si tratta solo di finanziamenti: secondo quanto riportato, le organizzazioni beneficiarie avevano obiettivi espliciti, come orientare il dibattito sull’agricoltura e fare pressione su europarlamentari e governi nazionali. Un fondo multimiliardario sarebbe stato usato per creare una vera e propria “lobby ombra”, incaricata di portare avanti politiche climatiche e ambientali senza trasparenza.
Fondi pubblici per fini politici: il caso Nature Restoration Law
Uno dei punti più critici sollevati dall’inchiesta riguarda il finanziamento di una campagna a favore della Nature Restoration Law, una legge fortemente voluta da Timmermans e contestata da molti governi europei. Questa campagna sarebbe stata organizzata da una rete di 185 associazioni ambientaliste, che avrebbero ricevuto liste dettagliate con i nomi dei politici da contattare per promuovere la legge. Dirk Gotink, eurodeputato olandese del Partito Popolare Europeo, ha confermato l’esistenza di documenti riservati che mostrano come le lobby green abbiano dovuto rendicontare i risultati ottenuti, compresi i casi in cui la legislazione è stata resa più ambiziosa grazie alla loro attività.

“Non si tratta di una critica al diritto delle Ong di fare lobbying“, ha precisato Gotink, “ma di un problema di trasparenza nella gestione dei fondi Ue“, che sarebbero stati usati per obiettivi politici ben precisi, sollevando interrogativi sulla correttezza del comportamento della Commissione Europea.
La replica di Bruxelles e le polemiche
Di fronte alle accuse, la Commissione Europea ha tentato di minimizzare la portata dello scandalo. Un portavoce ha dichiarato che l’assegnazione di fondi alle Ong è una pratica consolidata, ma ha ammesso che è necessario rivedere i meccanismi di gestione per evitare che i soldi pubblici vengano utilizzati per fare pressione politica in modo mirato. Questa ammissione, sebbene parziale, alimenta ulteriormente le polemiche. Non è la prima volta che Bruxelles si trova sotto accusa per la scarsa trasparenza nell’assegnazione dei fondi, ma il coinvolgimento diretto di Timmermans, figura centrale del Green Deal, rende lo scandalo particolarmente grave.
La questione non si limita solo all’ambiente: molti si chiedono ora se pratiche simili siano state adottate anche in altri ambiti, come la migrazione o l’energia, aprendo la strada a nuove indagini. Lo scandalo delle lobby green mette in evidenza un uso controverso dei fondi pubblici, sollevando dubbi sulla correttezza e l’imparzialità delle istituzioni europee.
Questa inchiesta alimenta ancor di più i dubbi su una politica ambientalista, che ad alcuni è parsa un attacco diretto all’industria dell’automotive europea: a chi è convenuto, chi ci ha guadagnato nell’imporre alle case automobilistiche una transizione forzata verso l’elettrico che si è rivelata, come del resto tutti gli osservatori obiettivi avevano segnalato sin dall’inizio, un pericoloso viatico verso il fallimento che ora mette a rischio decine di migliaia di posti lavoro? Vedremo se ci saranno ulteriori sviluppi, ma a distanza di pochi anni dal Qatargate, questo scandalo rischia di minare ulteriormente la considerazione popolare nei confronti delle istituzioni europee.
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