News
Guerra Israele-Iran: la benzina potrebbe andare alle stelle. Le previsioni

La guerra tra Iran e Israele spinge in alto il prezzo del petrolio. Il rischio di un blocco nello Stretto di Hormuz potrebbe avere conseguenze devastanti.
Lo scatenarsi del conflitto aperto tra Iran e Israele scuote non solo gli equilibri geopolitici ma anche i mercati finanziari globali, in particolare quello degli idrocarburi. Le ripercussioni sul prezzo del petrolio sono già evidenti: il Brent ha registrato un’impennata del 10%, attestandosi attorno ai 75 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate si è spinto a quasi 72 dollari. Si tratta di un aumento che segue una progressione del 13% nella settimana precedente e che rischia di trasformarsi in una nuova ondata inflazionistica, rallentando eventuali tagli dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve.
Lo Stretto di Hormuz, il punto critico del petrolio globale
Il punto nevralgico resta lo Stretto di Hormuz, passaggio strategico da cui transitano 20 milioni di barili di greggio al giorno, circa il 30% del petrolio mondiale. Un eventuale blocco, minacciato più volte da Teheran, metterebbe in ginocchio non solo l’Iran ma anche i suoi vicini: Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Qatar, Bahrain e Oman, tra i principali esportatori mondiali. L’Europa — e in particolare l’Italia — risulterebbe gravemente esposta, vista la dipendenza dalle forniture provenienti dall’area del Golfo Persico. A complicare ulteriormente la situazione, si aggiungono gli attacchi degli Houthi filo-iraniani nel Mar Rosso, che minano la sicurezza delle rotte marittime.
Prezzi in crescita, benzina e diesel rincarano in Italia
L’aumento del prezzo del greggio ha già avuto effetti diretti sul carburante in Italia. La benzina self è passata a 1,706 euro al litro, mentre il diesel ha subito un rincaro di tre centesimi, arrivando a 1,604 euro. E non è finita: secondo le previsioni più prudenti di ING, il prezzo del barile potrebbe toccare gli 80 dollari, ma J.P. Morgan prevede un’esplosione fino a 120 dollari, mentre il ministro degli Esteri iracheno, Fuad Hussein, parla addirittura di una soglia compresa tra i 200 e i 300 dollari al barile.
In questo contesto, si segnala il vantaggio potenziale per la Russia, che grazie a un’eventuale crisi di forniture mediorientali, potrebbe consolidare il proprio ruolo di esportatore energetico, soprattutto verso Cina e India. Proprio la Cina, principale acquirente di petrolio iraniano (seppur informalmente dal 2022), è già attiva sul fronte diplomatico nel tentativo di contenere l’escalation.
Un equilibrio precario tra diplomazia e minacce energetiche
La crisi tra Israele e Iran ha radici profonde e dimensioni molteplici, inclusa la recente offensiva israeliana del 13 giugno che ha colpito obiettivi legati al programma nucleare iraniano. L’Iran detiene circa il 9% delle riserve mondiali di petrolio e produce circa il 4% del totale globale, rappresentando un attore strategico nel panorama energetico.
Il timore condiviso è che un conflitto prolungato o un’azione militare diretta nello Stretto di Hormuz possa scatenare un terremoto energetico mondiale, con ripercussioni sulle borse, sull’inflazione e sulla ripresa economica globale. In assenza di una risoluzione rapida, gli effetti si faranno sentire ben oltre i confini mediorientali, toccando le tasche di milioni di consumatori e mettendo alla prova la stabilità dell’intero sistema energetico mondiale.
Clicca qui per iscriverti al nostro canale Telegram
Clicca qui per mettere "mi piace" alla nostra pagina Facebook
Riproduzione riservata © - MM