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Auto sempre più care: come sono cambiati i prezzi dal 2010?
Le case automobilistiche lamentano il calo delle vendite, ma non considerano gli aumenti che hanno imposto ai listini.
La crisi del settore automobilistico in Europa trova un’importante chiave di lettura nelle parole di Luca De Meo, presidente dell’Acea. Durante una conferenza stampa a Bruxelles, De Meo ha sottolineato un problema cruciale: le auto costano troppo e pochi cittadini possono permettersele. Per acquistare una vettura di fascia bassa, oggi servono tra i 6.000 e i 9.000 euro in più rispetto al passato, in un contesto dove il potere d’acquisto è diminuito drasticamente. Questo non è solo un problema economico per i consumatori, ma una sfida per i costruttori, che non riescono a rendere redditizie le utilitarie. La situazione è aggravata da una serie di fattori che includono le norme europee, il costo delle materie prime e la concorrenza cinese, che ha guadagnato un vantaggio competitivo notevole nel mercato globale.
Regole stringenti e concorrenza sleale
La normativa europea gioca un ruolo determinante in questa crisi. La deadline del 2035 per lo stop alla vendita di veicoli a benzina e diesel, unita alle impegnative tappe intermedie, ha imposto ai costruttori europei investimenti massicci per adattarsi alla transizione ecologica. Tuttavia, come ha evidenziato De Meo, la corsa verso l’elettrico non può essere l’unica strada. E soprattutto non si può pensare di far pagare gli investimenti sull’elettrico a chi vorrebbe acquistare ancora auto diesel o benzina applicando aumenti spropositati ai prezzi di listino, perchè il risultato è ovvio: le elettriche non si vendono per mille motivi, incluso il costo troppo elevato, e non si vendono più manco quelle diesel e benzina. Di qui la crisi, nata da un mix di decisioni politiche dell’UE e di scelte industriali sbagliate.
A ciò si aggiunge la pressione esercitata dalla Cina, che non solo gode di un vantaggio competitivo grazie a costi di produzione inferiori, ma in alcuni casi si avvale di una concorrenza sleale che penalizza ulteriormente i produttori europei. Senza considerare che, mentre i costruttori europei applicavano aumenti ingenti ai loro prezzi di listino, nel Vecchio Continente sbarcavano tutta una serie di marchi “made in China” con auto, in genere SUV, full optional dai costi stra-concorrenziali e dotate di motorizzazioni tradizionali: quasi tutte, se non tutte, 1.5 benzina e gpl.
A ben vedere, infatti, il problema non sta nel presunto vantaggio competitivo dei brand cinesi di auto elettriche, ma nel fatto che le auto cinesi stanno guadagnando fette di mercato proprio nel settore delle auto a motore termico. Basta vedere i prezzi di SUV della MG, o anche di DR ed Evo (assemblate in Italia, ma costruite in Cina), per rendersene conto.
Male le vendite del nuovo, bene il mercato dell’usato
Il crollo del potere d’acquisto del ceto medio europeo è l’aspetto centrale della crisi. Come ha ricordato De Meo, i costruttori automobilistici prosperano sul benessere di questa fascia di popolazione, che però ha subito un drastico ridimensionamento economico negli ultimi anni. Questo non significa che l’interesse per le auto sia diminuito: il successo del mercato dell’usato testimonia il contrario.
Tuttavia, l’impossibilità di acquistare veicoli nuovi evidenzia la necessità di un cambio di rotta e non bastano certamente le alchimie basate sulle formule di rateizzazione per convincere i possibili compratori, che si ritrovano con un potere d’acquisto sempre più eroso dall’inflazione e prezzi delle auto che seguitano a correre verso l’alto. Per garantire un futuro al settore, occorre ripensare le politiche e le strategie industriali, tornando a offrire auto che possano essere accessibili al maggior numero di persone, come accadeva in passato. Continuare a proporre auto a prezzi inavvicinabili da una larga fetta della popolazione equivale a correre speditamente verso il fallimento.
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