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Porsche taglia i costi, la crisi in Cina si fa sentire

La casa automobilistica si prepara a un nuovo pacchetto di misure per la riduzione dei costi, a causa della crisi delle vendite in Cina e dei dazi USA.
Porsche è costretta a rivedere profondamente il proprio assetto, non solo produttivo ma anche strategico. L’azienda dovrà trovare un nuovo equilibrio tra sostenibilità economica e innovazione, affrontando mercati sempre più protezionisti e incerti. L’esito delle trattative con i rappresentanti dei lavoratori sarà cruciale per determinare se e come Porsche riuscirà a reinventarsi senza tradire la sua identità.
Il motivo? Sempre lo stesso: la transizione verso l’elettrico, che di transizione non ha proprio nulla, visto che il consumatore non ha alcuna intenzione di adattarsi alle auto elettriche, men che meno i consumatori “premium”, che rappresentano la clientela di Porsche da sempre. E in un quadro di per sè negativo, si vanno ad aggiungere i dazi annunciati da Trump.
Crisi globale e modello di business da rivedere
Porsche si trova al centro di una fase critica della sua storia. Il celebre marchio tedesco, simbolo di prestigio e performance, ha annunciato un secondo pacchetto di misure strutturali per contrastare le difficoltà economiche che lo stanno travolgendo. Il CEO Oliver Blume ha reso noto, in una lettera rivolta ai dipendenti e riportata da Reuters e Dpa, che “il modello di business che ci ha servito bene per molti decenni non funziona più nella sua forma attuale“. Le vendite deludenti in Cina, l’effetto dei dazi all’importazione negli Stati Uniti e una transizione verso l’elettrico più lenta del previsto stanno minando la redditività dell’azienda.
Il secondo pacchetto strutturale e le trattative sindacali
La nuova fase di riduzione dei costi sarà oggetto di trattative nella seconda metà del 2025 tra i rappresentanti dei lavoratori e i vertici aziendali. L’obiettivo, ha spiegato Blume, è quello di “garantire la performance a lungo termine dell’azienda” in un mercato globale sempre più competitivo. L’amministratore delegato non ha fornito dettagli specifici sulle misure in discussione, ma ha chiarito che la situazione è grave e in rapido cambiamento.
Il primo pacchetto, annunciato all’inizio del 2024, prevedeva il taglio di 1.900 posti di lavoro entro il 2029 nell’area di Stoccarda, in modo socialmente sostenibile. Fino al 2030, Porsche ha garantito la sicurezza dell’impiego, escludendo licenziamenti per motivi operativi: saranno quindi promosse dimissioni volontarie.

Calo degli utili e frenata dell’elettrico
Il peggioramento del quadro economico è confermato dai dati del primo trimestre del 2025: l’utile operativo è sceso del 40,6% rispetto all’anno precedente, fermandosi a 760 milioni di euro, mentre il fatturato è calato a 8,86 miliardi. La corsa alla mobilità elettrica, su cui l’azienda aveva puntato con decisione, si è rivelata più lenta e meno redditizia di quanto previsto.
“Tutto questo ci sta colpendo duramente. Più duramente di molte altre case automobilistiche”, ha scritto Blume. Porsche non ha stabilimenti produttivi negli USA e, a causa dei dazi del 27,5% scattati nell’aprile 2025, esportare veicoli diventa sempre più costoso. In parallelo, in Cina, la competizione con i marchi locali e il rallentamento del mercato di lusso hanno ridotto notevolmente i margini.
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