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Peugeot, Citroën, DS e Opel nel mirino delle autorità: “Software illegali”, l’accusa della corte olandese

Creare un’attività dal niente è un’impresa ardua, si sa, e richiede davvero tantissime responsabilità. Più l’azienda cresce, maggiori saranno gli aspetti a cui prestare attenzione, in particolare la propria reputazione. Quando il nome di un’azienda finisce legato a un’accusa di scorrettezze, infatti, qualcosa si rompe.
Non basta più un comunicato stampa, un’uscita ben confezionata o una campagna pubblicitaria riparatrice: il danno può essere profondo, silenzioso, capace di scavare nelle fondamenta del rapporto con clienti, investitori e istituzioni.
La verità è che l’opinione pubblica, una volta scottata, non dimentica facilmente. E anche se la sentenza tarda ad arrivare, l’accusa, soprattutto se grave, può bastare a condannare un’azienda al declino. Spesso anche i sospetti possono far crollare a picco l’immagine di un’attività e pesare quanto un’accusa. Può succedere, infatti, che un’azienda venga accusata di comportamenti illeciti, che possono rivelarsi infondati. Ma, a quel punto, il danno è fatto, poiché il semplice sospetto può indurre anche i clienti più fedeli ad allontanarsi.
Ora, a finire sotto i riflettori della Corte olandese, sarebbero quattro marchi noti dell’automotive: Peugeot, Citroën, DS e Opel. L’ipotesi è quella di utilizzo di “software illegali”.
Accusa di software illegali: ecco perché Peugeot, Citroën, DS e Opel finiscono nel mirino delle autorità
Lo scandalo legato alle emissioni truccate torna a scuotere il settore automobilistico europeo e rimette sotto i riflettori il caso Dieselgate, mai davvero chiuso. A riaprire il dossier è una sentenza pronunciata nei Paesi Bassi, dove una corte ha puntato il dito contro quattro marchi automobilistici, facenti parte del gruppo Stellantis: Peugeot, Citroën, DS e Opel.

Secondo i giudici, alcune vetture diesel vendute nel territorio olandese sarebbero state dotate di software progettati per alterare i valori delle emissioni durante i test ufficiali.
La denuncia è partita da tre organizzazioni indipendenti che si occupano di diritti dei consumatori e sostenibilità ambientale. Secondo la ricostruzione, le irregolarità contestate risalgono a un periodo compreso tra il 2009 e il 2017, anni cruciali per l’assetto societario dei brand coinvolti.
In particolare, Opel, fino al 2017 nelle mani di General Motors, viene citata come il marchio con le prove più evidenti a carico: le sue auto, secondo il tribunale, avrebbero avuto “dispositivi illegali” già a partire dal 2009. Per quanto riguarda Peugeot, Citroën e DS, le accuse parlano invece di “sospetti fondati” legati a veicoli prodotti e immessi sul mercato dal 2014 in poi.
Non si è fatta attendere la replica di Stellantis. Il colosso automobilistico ha respinto fermamente ogni accusa, sottolineando che tutti i veicoli sono stati sviluppati nel pieno rispetto delle normative europee e definendo “errate” le valutazioni espresse dalla corte. In attesa degli sviluppi, si preannuncia una nuova fase delicata per il gruppo, che ora dovrà affrontare una battaglia legale.
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